COS'E' L'ALCHIMIA?
L'ALCHIMIA NELLA STORIA
ALCHIMIA ALCHIMIA GRECO-ALESSANDRINA
OBBIETTIVI DELL'ALCHIMISTA ALCHIMIA ARABO-ISLAMICA
LE VIE ALCHIMICHE L'ALCHIMIA DEL MEDIOEVO LATINO E DEL RINASCIMENTO
I RAPPORTI FRA L'ALCHIMIA E LA CHIMICA ALCHIMIA EUROPEA
GLOSSARIO

 

ALCHIMIA GRECO-ALESSANDRINA


L’arco di tempo durante il quale si sviluppò maggiormente l’alchimia Greco-Alessandrina è quello compreso fra la morte di Alessandro Magno (323 d.C.) e la chiusura dell’accademia di Atene (529 d.C.). Particolarmente significativa in questo periodo è la città di Alessandria d’Egitto, specialmente la sua biblioteca, che rappresentava al tempo una delle più importanti luoghi, in cui confluivano le maggiori conoscenze nel campo scientifico.

Gli elementi caratterizzanti l’attività chimica di tale epoca, sono fondamentalmente due: la manipolazione della materia e la realizzazione di varie forme di artigianato. I primi alchimisti alessandrini sono artigiani a tutti gli effetti e hanno anche risultati di notevole livello tecnico, ma ciò che più ci interessa è il fatto che si dedichino a quattro antichissime tecniche: la lavorazione dei metalli (oro e argento), la preparazione di pietre preziose sintetiche e perle, la tintura delle stoffe in porpora.

Sono proprio queste attività che saranno sempre considerate il più nobile cuore dell’alchimia. Infatti nell’alchimia, fin da questi tempi, si associarono varie idee filosofiche relative alla concezione della materia e del mondo, e si pongono come la base dell’elaborazione del linguaggio, infatti la filosofia della natura dell’universo alchemico (anche se con una serie di modificazioni e adattamenti) sarà valida fino alla fine del ‘500. I concetti essenziali sono quelli legati all’unità primordiale ed alla molteplicità sopraggiunta, l’imperfezione e il ‘necessario’ miglioramento, la sacralità della natura e l’intervento compiuto su di essa.

Sono principalmente quattro le componenti essenziali del pensiero alchemico: pitagorismo, platonismo, stoicismo e gnosticismo ermetico. Il mondo viene concepito come un insieme armonico ed è regolato da una fitta rete di corrispondenze. Tutto ciò ci introduce il concetto filosofico dell’unità dei contrari. Non è infatti un caso che l’atomismo di Democrito, con la sua casualità, non abbia molto séguito nell’alchimia: a questo universo dominato dall’idea dell’Uno e della sacralità della natura, si adattano meglio i quattro elementi di Empedocle, di Aristotele e della filosofia stoica. C’è una provvidenza che domina il mondo, ed un principio ordinatore lo conduce al suo fine. C’è una naturale tendenza della natura imperfetta a raggiungere uno stato di perfezione, anzi di perfezionamento: tutte le trasformazioni "vanno" dal meno perfetto al più perfetto.

 

ALCHIMIA ARABO-ISLAMICA


L’entrata dell’alchimia nella cultura arabo-islamica, porta con sé una grande diffusione delle informazioni così che anche gli studi scientifici possano viaggiare molto rapidamente. Alcune tecniche sono riconosciute, altre diventano oggetto di studio. E’ universalmente noto l’alto livello raggiunto dai musulmani nelle estrazioni delle essenze profumate e naturali, nella fabbricazione di acciai (le famose lame di Toledo), nella preparazione di smalti bianchi e colorati, nella fabbricazione di vetri e di gemme sintetiche, che a poco prezzo consentivano di abbellire in modo sontuoso uomini e cose senza venire meno alla semplicità di fondo prescritta dal Corano.

Chimica dei materiali da costruzione, chimica della lavorazione di cuoi e pellami, raffinazione dello zucchero di canna, e tinture delle stoffe completano, ma sicuramente non esauriscono il quadro oceanico dell’industria chimica dei musulmani. E’ un periodo di grande innovazione tecnica in cui si cercano di migliorare le apparecchiature. L’alchimia si "matematizza" sempre di più poiché i rapporti quantitativi tra reagenti e prodotti sono stabiliti sulla base dell’esperienza e la stessa esperienza viene ripetuta infinite volte.

Il mondo eterno degli alessandrini, ordinato da un Demiurgo diviene il mondo creato dal nulla di un pensiero monoteistico, ma le antiche convinzioni presenti nell’alchimia alessandrina continuano ad affiorare a grandi passi nel lavoro dell’alchimista musulmano, a tratti anche originale.

Le sostanze sono generalmente ordinate secondo un grado di nobiltà, o minore tendenza all’alterazione, o minore resistenza al fuoco o all’umidità. Sono divise in categorie le sostanze che bruciano e quelle che sublimano, quelle che fondono senza decomposizione, e talvolta questo modo di classificare porta a collocazioni apparentemente strane. Ma va sottolineata anche la differenza di tutti i corpi dagli influssi dei pianeti, cioè la profonda corrispondenza tra i diversi appartenenti ai tre regni della natura. Inoltre, accanto alle componenti di cui si è parlato fin ora, nell’alchimia Arabo-Islamica c’è anche una componente misteriosa o oscura.

In un clima di grande oscurità, reso ancora più oscuro da una serie di incomprensioni, generatesi nel passaggio tra lingua e cultura, molti testi sono fatti risalire ad epoche errate. Molti studiosi alessandrini, prendendo spunto dai testi Greci, producono opere di tipo allegorico, in cui riprendono in mano il problema del misterioso procedimento e paradossalmente è proprio questo nucleo che provocherà il discredito dell’alchimia Arabo-Islamica.

 

L'ALCHIMIA DEL MEDIOEVO LATINO E DEL RINASCIMENTO


La data in cui si stabilisce convenzionalmente l'ingresso dell'alchimia nel medioevo è il 1144, data in cui compare in Europa la traduzione latina del Morienus curata da Roberto di Chester. Ci furono precedentemente anche altre opere, ma esse sono relegate al ruolo di fenomeno locale, catalizzato dalla massiccia presenza degli Arabi in Spagna.

Verso la meta del XII secolo, nel bel mezzo di quel periodo che giustamente è stato chiamato "la Rinascita del XII secolo", alcuni atteggiamenti vengono a cambiare. Nel 1141 una prima traduzione del Corano fu commissionata dall’abate Pietro di Cluny, per combattere l’Islam, ma anche per conoscere "dal vivo" gli elementi da combattere. Poiché già da qualche tempo tra gli intellettuali d’Occidente c’è molto fervore fra curiosità, iniziative, piccoli o grandi viaggi di studio compiuti nei paesi degli infedeli. Dai viaggi di studio alle traduzioni il passo è breve anche perchè nelle mani degli Arabi ci sono Aristotele, Platone, Tolomeo, Euclide, i loro commentatori, autori nuovi e sconosciuti, e tutta la scienza e la filosofia dell'antichità.

Parallelamente anche la distinzione fra arti liberali e arti servili viene meno. In questo "cantiere culturale" l'uomo si afferma come un artigiano che trasforma e crea, e viene quindi riscoperto il concetto di homo faber, cooperatore della creazione con Dio e con la natura. La nuova disciplina alchemica è accolta con entusiasmo e interesse, anche se dai problemi di traduzione derivano problematiche di vario tipo. A partire dalla fine del XII secolo alle traduzioni dall’arabo si affiancano, come già era successo all’epoca delle prime traduzioni dal greco in arabo, opere composte in latino dai nuovi e numerosi adepti, e tra queste, firmate o anonime, una serie di corpora attribuiti ai più grandi nomi della cultura: Alberto Magno (1193?-1280), Tommaso d’Aquino (1225-1274), Ruggero Bacone (1219-1292), Arnaldo da Villanova (?-1313?), Raimondo Lullo (1235-1315-). L’alchimia è una scienza anche per i latini, una scienza nuova di cui non si tratta nei libri di Aristotele e che contiene molte informazioni che permettono di conoscere meglio la natura. Con le traduzioni e la produzione di nuovi lavori originali, si costituisce il vocabolario chimico latino.

A questo punto è lecito domandarsi il ruolo, anzi la posizione che la Chiesa assunse circa questi "eventi scientifici". Dopo un primo periodo di osservazione la Chiesa espresse il suo parere sull’alchimia, e lo fece con una serie di solenni condanne. La presa di posizione di Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica, gli atti capitolari che tra il 1272 e il 1373 proibiscono lo studio e la pratica dell'alchimia ai francescani e ai domenicani, e infine la famosa decretale Spondet quas non exhibent di Papa Giovanni XXII (1245-1334) sono attacchi perentori che si rivolgono tutti alla questione della trasmutazione. Dal momento che è impossibile realizzare la trasmutazione dei metalli in oro (così si espresse ufficialmente la Chiesa) coloro che affermano di trasmutare e non ottengono alcun risultato sono truffatori, o se vi riescono (ipotesi assurda) allora hanno trasmutato per mezzo di opere di magia. Di fronte a questa dura posizione ecclesiastica viene spontaneo chiedersi se alle motivazioni ufficiali date dalla Chiesa per la disapprovazione dell'alchimia non si voglia inoltre rifiutare una disciplina vistosamente pagana all'origine e trasmessa dalle terre del "nemico" più vicino e temibile. I risultati della condanna non si fanno attendere ma, a differenza di quanto si potrebbe credere, non si concretizzano in un abbandono della disciplina.

In prossimità dell’Umanesimo e del Rinascimento, si ha sempre più l'impressione che, sulla base di un messaggio recepito ancora una volta in modo incompleto, dopo il primo passaggio, quello dell'VIII secolo, dalla lingua greca alla lingua araba, si verifichi un progressivo distaccarsi dell'alchimia dalle sue radici arabe e prima ancora alessandrine. Questo è un distacco e un mutamento che si traduce sempre più nell’improprio utilizzo di nomi, nel mancato riconoscimento delle allegorie, nello scollamento dei testi dalle immagini e dei simboli dai loro significati originari.

Una fra le prime concezioni a dare segni di cedimento è l'idea della necessaria esistenza di un unico mondo tenuto insieme da una rete gerarchica di sequenze e corrispondenze, e della posizione medioevale dell’uomo "fisso" fra terra e cielo, primo fra gli animali e ultimo fra gli angeli. Per Nicola Cusano (1401-1464) ci sono valide ragioni per ritenere possibile l’eventuale esistenza di altri mondi più o meno perfetti di questo nostro mondo, e in ogni caso l’uomo, che abita questa terra, non ha alcun motivo per desiderare una natura diversa o più perfetta di quella in cui già vive.

Leonardo da Vinci (1452-1519) rigettando le antiche argomentazioni sulla trasmutazione, giudica l'alchimia esclusivamente sulla base dei prodotti che è in grado di fornire, e anzi egli stesso si applica al lavoro di laboratorio con la preparazione di composti e il perfezionamento di apparecchiature.

L'immagine più rappresentativa degli ultimi sviluppi dell'alchimia del Rinascimento è probabilmente da ricercare nell’opera del medico svizzero Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (1493-1541) che, forse per affermare la sua superiorità sull’antico medico latino Cornelio Celso (I secolo d.C.) assume l'enigmatico nome di Paracelso. Nell'universo di Paracelso, diviso secondo la millenaria tradizione in macrocosmo e microcosmo, è il microcosmo, cioè l’uomo, il centro intorno a cui ruota ogni altra considerazione. Tutto ciò che la natura, grande organismo vivente e divino produce deve essere giudicato più o meno perfetto a seconda dell’utilizzazione più o meno diretta che l’uomo può trarne: ad esempio, se la natura produce grano e l’uomo mangia pane, il pane deve essere considerato uno stato più perfetto cui partecipa il materiale grano. Poiché la natura non produce pane ma si ferma al grano è necessario perfezionare l’opera della natura e portare tutte le cose allo stato in cui possono essere utilizzate dall'uomo. A questo perfezionamento, in ogni campo dell’attività umana, deve essere dato il nome di alchimia e al suo artefice, che non è solo il chimico, ma anche, fornaio nel caso sopra citato, deve essere dato il nome di alchimista.

A partire dai primi anni del XVII secolo, con le opere di Cartesio (1596-1650), di P. Gassendi (1592-1655), di R. Boyle (1621-1691), per la prima volta Dio diviene Colui che contempla il mondo come un gigantesco orologio che ha caricato all'inizio dei tempi. Non c'è dubbio che l'orologio sia stato caricato da lui, ma il meccanismo procede secondo leggi che non hanno bisogno del suo intervento. Mentre metafisica e fisica si allontanano, non appare più così eretico contemplare la possibilità dell’esistenza di infiniti mondi, di infiniti corpuscoli, che non possono essere né affermati a priori, né direttamente individuabili dai sensi, ma che possono essere rivelati a partire dall'osservazione, dall'analisi, dai mezzi di cui lo scienziato di volta in volta può disporre. Impegnati come sono nelle loro argomentazioni pro o contro Paracelso, gli alchimisti non sembrano accorgersi tempestivamente che la realtà sta cambiando, ed il loro mondo è ormai "morto".

Il passaggio alla chimica avverrà fra poco, ma non sarà né "indolore", né immediato a causa di correnti che rimarranno ancora per alcuni tempi nelle concezioni e metodologie dei chimico-alchemici.


Filippo Antonelli, Elisa Celicchi, Francesca Conti, Marco Giubilei, Luca Torre, Giacomo Umani.

Questa scheda è stata realizzata dal LICEO SCIENTIFICO "PIERO DELLA FRANCESCA"
SANSEPOLCRO - AR

 

L' ALCHIMIA EUROPEA

 

L'alchimia metallica (via secca) e quella degli Elixir o Quintessenze (via umida) fu riscoperta nell’occidente europeo nel tardo medioevo, in gran parte dalle traduzioni della Alchimia dell’era della Magna Grecia e dalle tradizioni scientifiche arabe introdotte in Sicilia ed in Spagna.

Ancora per motivi religiosi dovuti alla difficoltà di integrazione con le concezioni sviluppate nell'Islam, gli studi alchemici furono proibiti dalla chiesa cristiana e gli alchimisti perseguitati e condannati dalla sacra inquisizione. Solo nel periodo del tardo medioevo in europa, in alcuni casi rimasti famosi, gli studi alchemici furono approfonditi da personaggi potenti sia tra la nobiltà che nella sfera ecclesiastica, tra essi Alberto Magno (1193-1280), Ruggero Bacone (1214-1294), e lo stesso Tommaso D'Aquino (1226-1274). Cecco d’Ascoli autore del libro alchemico "L’Acerba", non essendo un potente, fu messo al rogo a Firenze il 17 Luglio del 1327. Raimondo Lullo ( Ramon Llull di Palma de Majorca 1232-1315) discendente di un antico casato aristocratico e pertanto vicino alle leve del potere, fu uno tra i più famosi alchimisti europei; egli tentò una interessante giustificazione della Alchimia in relazione al concetto di "libero arbitrio" dell'uomo, così da farla accettare nell’ambito della teologia della chiesa cristiana. Nel "Liber de segretis naturae seu de quinta essentia" il ragionamento di Lullo in favore dell'Alchimia fu all'incirca il seguente:

"Dio non può fare quello che vuole, ... perchè Egli può esercitare solo il bene" L'uomo invece può incorrere nel male perché ha a disposizione solo il calore del fuoco, per portare a purezza le cose terrene, ma con l'aiuto dei principi essenziali e con la fede potrà in futuro concepire e realizzare delle "trasmutazioni" naturali come già è in grado di compire utili trasformazioni artificiali degli elementi naturali.

Perciò la Alchimia, che è la vera arte nel promuovere il sapere, non può essere condannata dalla Chiesa, in quanto la scelta tra il bene ed il male appartiene al libero arbitrio dell'uomo; quest’ultimo è frutto della sua ignoranza, ma l’ignoranza umana stessa è stata voluta dalla giustizia di Dio e quindi è un bene dal punto di vista del Dio Padre Onnipotente.

Quindi l’uomo può sbagliare provando e riprovando nella ricerca della Purezza, mentre Dio non può aver fatto assolutamente alcun errore né alcuna ingiustizia. Sulla base di tale ragionamento e convinzione

Raimoldo Lullo è rimasto famoso sia per la revisione di molti errori che egli attribuì ad errate convinzioni alchimiche di alcuni suoi contemporanei e predecessori, sia per la sua tenacia nel difendere e divulgare gli studi alchemici.

In seguito , pur lentamente gli studi alchemici sulla "trasmutazione" degli elementi, ottennero anche per il lavoro di difesa e di chiarezza impostato per primo da Raimondo Lullo, una profonda trasformazione concettuale che permise di realizzare in occidente lo sviluppo dell'alchimia in scienza chimica.

Firenze fu uno dei centri di sviluppo della Alchimia Rinascimentale proprio in quanto Cosimo I° dei Medici (1517-1574) fece tradurre e diffuse prima in latino e poi in volgare il "Corpus Alchemico" di Ermete Trimegisto. Cosimo dei Medici volle così importare a Firenze una nuova cultura in modo da rendere libera la Toscana dalle influenze del potere temporale dei Papi e quindi fu mecenate del rifiorire di una nuova cultura rinascimentale che ebbe origine da un processo di integrazione della antichissima cultura alchemica con la emergente capacità produttiva artigianale fiorentina nella fusione dei metalli, nella preparazione e la fissazione dei coloranti per le stoffe e gli arazzi e nella preparazione dei medicamenti in farmacia da parte della potente corporazione fiorentina degli "speziali". L'alchimia fu vista dal casato dei Medici come una cultura globale e quindi più adatta a salvare il mondo perfezionandone la sua natura, ivi compresa quella umana, con una finalità non limitata alla salvezza dell'uomo, come richiedeva la tradizionale impostazione culturale dell’alchimia di indole mistica; in tal senso la riscoperta della alchimia ermetica fu considerata a Firenze una utile componente di un processo di rinnovamento culturale capace di superare il medioevo.

Il risultato più evidente di un tale processo di integrazione culturale, tra alchimia ermetica e "arti e mestieri" del rinascimento, fu infatti quello di iniziare a mettere in dubbio l'utilità delle concezioni aristoteliche, che avevano rappresentato la cultura scientifica dominante nel medioevo, la quale si era perfettamente integrata nella tradizione cristiana ufficialmente accettata dalla Chiesa di Roma.

Con il Rinascimento Fiorentino inizia una riflessione quanto mai prammatica sul concetto di "trasmutazione in oro", che con ogni evidenza fino ad allora era risultato impossibile da sperimentare. Anziché ritenere colpevoli le conoscenze raggiunte, intelligenze del calibro di Leonardo Da Vinci (1452-1519), iniziarono a ritenere impossibile, il fatto che, le deboli forze messe in giuoco dal fuoco, quale agente di trasformazione, potessero condurre al raggiungimento di un puro stato di "nigredo", capace di disciogliere qualsiasi sostanza e raggiungere lo stadio di "materia prima", in quanto solo tale stato di perfezionamento della fase iniziale delle trasformazioni, avrebbe permesso di ricombinare la materia e raggiungere effettivamente la "trasmutazione" qualitativa degli elementi in oro.

Piuttosto che approfondire tali critiche, che in seguito condussero a nuove forme di pensiero ed al recupero della teoria Atomistica ad iniziare dal libro di Robert Boyle (edito nel 1661), nella Firenze Medicea fu vincente la prassi delle Arti e Mestieri che, con Vannoccio Biringuccio - ( scrittore del Libro "De La Pirotechnia" -Siena 1540), Benvenuto Cellini e molti altri, favorirono in Toscana la crescita il Rinascimento Italiano creando una scuola di artigiani ed artisti famosi nel saper adoperare l’arte del fuoco per fabbricare vetri, fondere metalli, produrre nuovi coloranti, sperimentare nuovi medicamenti .. sviluppando gli insegnamenti della antica Alchimia.