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L'ISOLA DI PASQUA - LA STORIA
In molti mappamondi e atlanti geografici non compare affatto. E' più piccola dell'isola d' Elba, sperduta nell'Oceano Pacifico, a 1.600 Km dal più vicino luogo abitato ed a quasi 4.000 Km dalle coste cilene, nel Sud America. Ha una popolazione di appena 2.000 persone: è l'Isola di Pasqua, Rapa Nui, appartenente al Cile. Eppure, questa isoletta insignificante di appena 162 kmq è uno dei luoghi più famosi del mondo in materia di misteri. Fu scoperta nel 1686, ma solo nel giorno di Pasqua del 1722, l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen, ebbe il coraggio di sfidare i bellicosi indigeni con un'esplorazione vera e propria. La popolazione del luogo considerava l'isola te pito te henua (l'ombelico del mondo) in quanto ritenevano di essere tutto ciò che restava al mondo in termini di sopravvissuti e di terre emerse, dopo il diluvio e la distruzione universale.
L'isola è piena di gigantesche statue in pietra vulcanica, i mohai, considerati dagli indigeni con grande disprezzo. Attualmente ve ne sono circa 600. Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di mohai siano stati gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati.
Quel che oggi rimane in piedi della schiera di mohai, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola. Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione. Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello (forse un antenato divinizzato) e originariamente erano dotati di un copricapo rosso. Degli scultori che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?
Il colore bianco della pelle e la barba degli abitanti originari è ancora più sconcertante, perchè implica origini etniche geograficamente piuttosto distanti. Come hanno fatto a raggiungere via mare un luogo così lontano e ad acquisire l'abilità necessaria per fabbricare queste statue di pietra dura e di tale grandezza? Alcuni studiosi, fra cui Thor Heyerdahl, ritengono che gli isolani siano il risultato di una mescolanza di civiltà nordiche, peruviane e polinesiane che, in qualche modo, avvalendosi di zattere, sopravvissero al lungo viaggio e approdarono sull'isola. A questo punto, non riuscendo più a riparare le imbarcazioni a causa della mancanza di alberi sul luogo, vi si stabilirono. In una prima fase le conoscenze di cui erano portatori dai luoghi d'origine, consentirono la costruzione dei mohai, poi, debilitati dall'isolamento e dalla carenza di risorse sull'isola, regredirono, dimenticando anche il senso originario di quelle opere. Secondo un'altra teoria, l'isola fu disboscata successivamente proprio per la costruzione dei mohai e per il sostentamento della popolazione, con una sorta di ecodisastro che portò alla desertificazione e alla decadenza culturale degli abitanti. Secondo un'altra ipotesi, l'isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i mohai sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere. Secondo una variante di questa teoria, i mohai rappresentano esseri di un altro mondo (extraterrestri) che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso. E' indubbio che i mohai ricordino molto l'arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione, è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell'oceano Pacifico. E' certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. E' altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta.
Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico-culturale. Questa originaria cultura dell'isola di Pasqua prevedeva anche la conoscenza della scrittura, anch'essa perduta e dimenticata, visto che gli indigeni non sono più in grado di decifrare le antiche iscrizioni rongo-rongo sulle tavolette sacre. Forse però, i sacerdoti locali sono ancora in grado di decifrarle ma preferiscono custodirne il segreto, visto il divieto assoluto per gli stranieri, di ingresso ad alcune grotte sacre ove sono impresse delle iscrizioni. Proprio su questa scrittura risiede il più affascinante dei misteri di Rapa Nui. I suoi geroglifici sono praticamente identici a quelli dell'antica città di Mohenjo-daro, nella lontanissima India. Come si può vedere nell'illustrazione in basso, la somiglianza è tale da escludere una semplice coincidenza e l'India si trova letteralmente dall'altra parte del mondo rispetto all'isola di Pasqua.
Per raggiungerla via mare occorre circumnavigare metà del Sudamerica, passare sotto l'Africa, per poi risalire fino a destinazione: un'impresa navale assolutamente inconcepibile per una zattera o per una canoa! Si tratta di percorrere via mare mezzo mondo (raggiunta l'India vi è poi un discreto percorso da compiere via terra, lungo la valle del fiume Indo). Le due iscrizioni sono rimaste indecifrate, anche se nel 1996 uno studioso americano, Steven Fisher, ha annunciato sulla rivista New Scientist di aver decifrato 22 tavolette dell'Isola di Pasqua.
Secondo Fisher si tratta di scritti sacri che descrivono la creazione del mondo attraverso una serie di miti di carattere marcatamente erotico. Peccato che il giornalista del noto quotidiano romano che ha citato la scoperta, tutto preso dal dichiarare svelati gli arcani, non si sia premurato ne di descrivere qualcuno di questi testi, ne di occuparsi delle inquietanti e importanti analogie con le iscrizioni indiane. Di fatto i misteri di Rapa Nui rimangono tuttora ostinatamente intatti. Gli isolani, nei loro rituali, danno una grande rilevanza al culto dell'uomo uccello. Un culto che si ripropone insistentemente in numerosi antichi miti delle popolazioni celtiche, nordafricane, arabiche e mediorentali. Le rare sculture in legno raffigurano i corpi degli antenati esposti per la scarnificazione rituale, una cerimonia funebre strettamente connessa al culto dell'uccello (l'avvoltoio in particolare) ricorrente nelle antiche civiltà mediorentali e nordafricane. Incisioni sulla roccia raffigurano l'uomo-uccello che sorregge un uovo, a ricordo di quando gli uomini facevano a gara per raccogliere il primo uovo deposto su un isolotto prospiciente le spiagge di Rapa Nui, lo stesso uomo uccello che ritroviamo in Nordafrica, nel mediorente e nella cultura celtica. Semplici coincidenze cerimoniali o residui sparsi di un'antichissima cultura comune in tutto il mondo? Ormai sempre più studiosi sono inclini ad ipotizzare che nell'evoluzione dell'uomo ci sia stato un momento di apice scientifico e tecnologico, circa 10.000 anni prima di Cristo, a cui, in seguito ad una catastrofe mondiale, è sopraggiunto un imbarbarimento repentino dei pochi superstiti che hanno dovuto ricominciare tutto da capo. I sopravvissuti, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno lentamente trasposto nel mito i ricordi del loro passato. Questa teoria spiegherebbe un certo patrimonio culturale e mitologico comune in tutto il mondo antico. Per citare un esempio, il mito mondiale di un continente sprofondato nel mare da cui giunsero gli antenati, connesso con quello, anch'esso mondiale, di un diluvio universale dal quale si salvarono pochi eletti.
ISOLA DI PASQUA - T.C.I.
(Touring Club Italiano)
SORPRESE DI PASQUA | |
CON
IL T.C.I. PER INCONTRARE LA CIVILTÀ RAPANUI una delle terre più remote e isolate dell'intero pianeta: nell'oceano Pacifico, dista circa 3.700 chilometri dalla costa cilena e 1.900 dall'isola Pitcairn, eppure ospitò per molti secoli una civiltà misteriosa originata da un popolo di cui sappiamo pochissimo benché fosse ancora vivo e vitale agli inizi del XVIII secolo quando il navigatore olandese Jacob Roggeveen vi sbarcò, per l'appunto il giorno di Pasqua del 1722. Ciò che sbalordì i primi visitatori e che ancora oggi stupisce chi giunge in quella terra remota e affascinante, furono i giganti di pietra (moai) scolpiti nella roccia del vulcano Ranu Raraku che costellavano l'intera isola e rappresentavano le immagini degli antenati. Rimasti completamente isolati per molti secoli, gli abitanti di Rapanui (questo il nome indigeno dell'isola) credevano di essere gli unici esseri umani sulla faccia della terra e il contatto con i navigatori e i colonizzatori occidentali fu devastante. Completamente inermi di fronte a una serie di malattie per le quali non avevano anticorpi, gli aborigeni dell'isola di Pasqua furono falcidiati da una serie di epidemie mentre la loro cultura fu cancellata dai missionari cristiani che diedero alle fiamme le tavolette di legno (rongorongo) su cui avevano tracciato, con un loro sistema di scrittura, i loro miti e le loro tradizioni. Secondo queste tradizioni, in parte pervenute tramite la trasmissione orale, i primi abitanti dell'isola sarebbero giunti dal mare guidati da un re (ariki mau) che, giunto a Rapanui, assunse il nome di Hotu Matua; la popolazione sarebbe invece stata costituita da due principali gruppi identificabili con i cosiddetti "orecchie lunghe" e "orecchie corte". Espressioni in cui alcuni studiosi, fra cui il celebre esploratore norvegese Thor Heyerdahl, vorrebbero identificare due successive ondate di popolamento. Heyerdahl, in particolare, ritiene che una parte dei coloni sarebbe giunta dal Sudamerica portando, per esempio, la totora, il giunco che cresce nel lago interno del vulcano Ranu Raraku, originaria del lago Titicaca, nonché la patata dolce, anch'essa originaria del Sudamerica, che costituiva una delle basi della dieta della popolazione rapanui. |
Per dimostrare che era possibile una colonizzazione dal
Sudamerica, Heyerdahl costruì, nel 1947, una zattera di sette tronchi di
balsa, il celebre Kon Tiki, e con quella attraversò l'oceano
Pacifico in 101 giorni di navigazione approdando nell'atollo di Raroia,
nelle isole Tuamotu. Teorie sempre meno accettate tanto più che la
genetica moderna, analizzando il mitocondrio delle mummie più antiche
(circa V secolo d.C.) ha potuto dimostrare che gli abitanti dell'isola di
Pasqua discendono dai Polinesiani. A Heyerdahl rimane il grandissimo
merito di aver condotto per primo una spedizione archeologica scientifica
nell'isola di Pasqua (1957) e di aver attirato l'attenzione degli studiosi
su quella civiltà straordinaria. Resta tuttavia un enigma assai difficile
da risolvere: come abbiano fatto dei Polinesiani a superare 4.000
chilometri di distanza per giungere in quella terra completamente isolata
in mezzo all'oceano Pacifico. Il caso è praticamente da escludere:
simulazioni al computer hanno dimostrato che una spedizione che si
mettesse in mare, poniamo dalle isole Marchesi, diretta a sudest, avrebbe
avuto praticamente probabilità zero di approdare per caso nell'isola di
Pasqua. L'ipotesi alternativa è che si sia trattato di una spedizione
programmata, ma anche questo presuppone una conoscenza dei mari e delle
rotte talmente stupefacente da risultare incredibile. Il problema dunque
per noi rimane aperto. Ma non sono solo questi enigmi a far crescere il fascino dell'isola misteriosa. Gli studi più recenti hanno potuto ricostruire, grosso modo, le varie fasi della civiltà rapanui, recuperando quanto resta della tradizione orale, ancora relativamente vicina alle origini, e indagando le testimonianze monumentali e archeologiche sparse un po' dovunque nell'isola. I giganteschi moai, ovvero le statue degli antenati, gli ahu, ossia le piattaforme cerimoniali erette in prossimità della riva del mare, le incisioni rupestri e le necropoli che contengono le mummie dei defunti. Lo studio della lingua rapanui ha dimostrato la sua derivazione dalle lingue polinesiane con poche eccezioni di termini presenti solo ed esclusivamente nell'isola di Pasqua (come la parola poki, "bambino"), conseguenza questa del suo lunghissimo e totale isolamento.
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ISOLA DI PASQUA - INFORMAZIONI GENERALI
C’è uno scoglio vulcanico
piantato in mezzo all’oceano pacifico, alcune centinaia di chilometri a
sud del tropico del Capricorno. Uno scoglio denso di storia, misteri, drammi,
enigmi e fascino: l’isola di Pasqua. Coordinate: 109° longitudine ovest, 27°
latitudine sud. Tutto attorno, oceano, oceano e null’altro che oceano. Il Cile
è a 3.700 chilometri.
Un’isola con tre vulcani e mille Moai, dove vivono oggi 3.000 persone, in
larghissima parte di origine polinesiana. La quasi totalità dei pasquensi abita
Hanga Roa (Baia larga), il capoluogo. L’unico posto dove si possono incontrare
un ufficio postale o una banca. L’unico posto in tutto il Pacifico
meridionale.
Per qualsiasi informazione:
Camara de turismo – Isla de Pascua
Tel. 0056-32-55.00.55
Email: camarapanui@entelchile.net
VOLI
Gli unici voli da e per l’isola sono gestiti dalla Lan-Chile.
Due i voli settimanali dalla capitale, Santiago.
Due anche quelli da Tahiti.
Il costo in entrambi i casi è di circa 600 dollari, tasse aeroportuali incluse.
RISTORANTI
Tutti i ristoranti si trovano ad Hanga Roa. Playa Pea, rinomato per il suo
Chevice, un piatto di tonno crudo condito con limone, olio e cipolla. Da gustare
anche le empanadas, calzoni ripieni di tonno o formaggio.
Taverne de Pecheur, squisiti i piatti di pesce.
Le migliori empanadas sono comunque quelle di Berta, una signora che gestisce un
minuscolo ristorante in una traversa dell’Avenida Atamu Tekena.
Copa Cabana, pesce fresco, buonissimo e porzioni abbondanti.
ALBERGHI
Sull’isola è possibile dormire a prezzi contenuti nei residenciales (tra i 15
e i 20 dollari a notte). Uno dei più gettonati è il Mahina taka taka, la cui
padrona, Lucia Riroroko, è un’ottima cuoca. Ad un prezzo medio troviamo la
pensione Martin y Anita, oppure è possibile scegliere una sistemazione più
costosa come l’albergo Hanga Roa (80 dollari circa), l’Hoto Matua o
l’Hotel Iorana.
DIVERTIMENTI
Sull’isola ci sono due discoteche, la Toroko e la Piditi. Due baracche di
lamiera dove ogni notte viene pompata a tutto volume musica reggae e rock.
TRASPORTI
Nel ’97 sull’isola c’erano otto taxi, oggi ce ne sono 80. Tutti molto
economici.
E’ anche possibile possibile noleggiare:
Jeep (50-90 dollari al giorno)
Moto (40 dollari)
Cavallo (30 dollari)
Mountain bike(15 dollari)
DOCUMENTI e VALUTA
Passaporto in corso di validità. Il timbro apposto dalla polizia cilena alla
frontiera ha una validità di 90 giorni, rinnovabili.
Valuta: Peso cileno (4,3 lire italiane).
Gli acquisti sull’isola possono essere fatti regolarmente in dollari.
Non ci sono bancomat e i cellulari non hanno campo.
Ci sono vari Internet point.
L'ISOLA DI PASQUA - C.U.N.
(Centro Ufologico Nazionale)
In un mare talmente blu
da confondersi con il cielo infinito si trova Rapa Nui, l'Isola di Pasqua, a
5000 km da Tahiti e a 2000 dalle più popolose isole polinesiane. A 27 gradi di
latitudine sud e a 110 di longitudine est, Rapa Nui e' l'estrema punta orientale
della Polinesia, l'ultimo avamposto della civiltà. Triangolare, con tre grandi
vulcani, il maggiore dei quali e' il Rano Kao, e tanti crateri minori, Rapa Nui
(Grossa rapa) ha un perimetro di 60 km su 150 kmq di superficie. Un puntino
nell'immensita' dell'oceano ed una fonte di mistero che da sempre ha infiammato
la fantasia del scrittori e dei fans di 'Te pito o te henuà, l'ombelico del
mondo.
L'enigma più grande che l'avvolge riguarda alcune centinaia di statue
gigantesche, i moai, ufficialmente scolpiti non si sa da chi e perchè e
realizzati con tecniche misteriose che gli isolani non potevano assolutamente
possedere. Queste enormi statue, alte sino a sei metri (ma ne esistono alcune di
ventidue), sono sparpagliate per tutta l'isola. Alcune sono messe in fila lungo
la costa, quasi a fissare minacciosamente i naviganti, altre sono abbandonate
sulla montagna, alcune coricate ed altre lasciate incompiute nelle cave di
materiale vulcanico. A cosa servissero questi giganteschi monoliti non e' ancora
stato chiarito, come non e' stato ancora spiegato come facessero gli isolani a
trascinare per alcuni chilometri questi enormi pesi, dalla montagna vulcanica a
valle. E, soprattutto, come avrebbe dichiarato l'archeologo dilettante Enzo
Valli durante un dibattito televisivo su Rete Sette, "non si capisce come
abbiano fatto i pasquani a sollevare queste statue, alcune delle quali sono
sepolte sino alla vita nel terreno o sono scavate o conficcate in verticale
nella roccia. L'unico modo per estrarle consiste nel sollevarle. Ma in che modo,
senza pali e corde? L'isola, infatti, e' completamente brulla, spoglia di
vegetazione non dimentichiamoci poi che queste statue pesano alcune
tonnellate..." Della stessa opinione sarebbe stato il celebre divulgatore
Peter Kolosimo, che nei suoi libri aveva dichiarato: "Le statue dell'Isola
di Pasqua sono pesantissime ed e' impensabile che siano state erette servendosi
di rulli di legno. Gli ufficiali della nave da guerra Topaze, per sollevarne una
alta solo 2,5 metri, dovettero ricorrere ai mezzi più moderni e ad oltre 500
uomini". "E se determinate persone avessero disposto, in un'epoca
passata, di forze elettromagnetiche o dell'antigravità?" si sarebbe
chiesto l'etnologo Francis Maziere.
Di diverso parere sono due archeologi francesi insegnanti al Centro di Ricerche
Nazionali, Catherine e Michel Orliac, che molto più realisticamente hanno
dichiarato: "Una volta scavati sul vulcano Rano Raraku, i giganti di pietra
venivano trasportati sino agli 'ahu' (complessi megalitici sacri), talvolta a più
di dieci chilometri. Il modo con cui furono trasportate le oltre 1000 statue
erette nei santuari e' ancora incerto. La tradizione orale non fornisce elementi
tecnici soddisfacenti. I pasquani invocano un capo mitico, Tuu Ko Ihu, il dio
Make Make o ancora i sacerdoti che ordinarono alle statue di camminare e di
posarsi sui rispettivi ahu. La mancanza di dati ha scatenato l'immaginazione,
pure, il peso delle statue e' stato sopravvalutato. Si e' parlato di 300, 400 o
500 tonnellate...Occorreva immaginare un sistema di sollevamento che
necessitasse di un minimo di legname, poichè i primi visitatori europei non
avevano trovato che striminziti alberelli. In realtà i pasquani hanno avuto il
legname. Diverse ricerche hanno dimostrato che l'isola un tempo era boscosa. Vi
si posavano vari semi, come la sophora toromiro e una varietà di piante simili
alla pritchardia. Il legno di questi alberi e' l'ideale per l'estrazione, il
trasporto ed il rotolamento. La scorza di un altro legno, la triumfetta, era
particolarmente preziosa per la fabbricazione di solide corde..."
Ma a queste considerazioni si sono opposti molti divulgatori specializzati in
archeologia misteriosa, come lo scrittore svizzero Erich Von Daeniken e l'esoterista
francese Robert Charroux, autori di opere spesso mal documentate e ricche di
fantasie e distorsioni. Costoro ritengono che in realtà i moai siano stati
realizzati da una civiltà aliena che in Rapa Nui aveva un suo punto di sbarco.
"Come truci robot - ha scritto Erich Von Daeniken nel libro Enigmi dal
passato (SugarCo, 1975) - 200 colossi sorvegliano le coste dell'Isola di Pasqua.
Non si sa chi raffigurino. La leggenda dei Rapa Nui narra che un giorno le
statue andarono da sole ad occupare il proprio posto...La mia ipotesi e' questa:
cosmonauti extraterrestri fornirono ai primitivi abitanti dell'isola strumenti
tecnici di precisione, di cui sacerdoti o maghi potevano servirsi, e grazie a
cui liberarono i massi dalla lava e li lavorarono. I visitatori stranieri
sparirono. Come tutti gli utensili, anche questi strumenti ricevuti in dono si
consumarono e divennero inservibili. I primitivi non poterono evidentemente
costruire nuovi strumenti di quel livello. Sta di fatto che da un giorno
all'altro il lavoro venne abbandonato. Oltre 200 statue rimanevano incollate
alla parete del cratere. Ai nativi restava l'acuta ambizione di portare a
termine il lavoro. Visto che i vecchi utensili non erano più utilizzabili, la
lava fu affrontata con mazze di pietra. Per giorni un allegro martellare risuonò
sull'isola, ma senza risultato. Le amigdale di pietra si consumavano senza che
si fosse riusciti a strappare una sola statua alla parete. Ci si rassegnò e
centinaia di mazze di pietra furono abbandonate nel cratere..."
Questo racconto di indubbio fascino e dalle molte forzature viene condiviso
anche dallo scrittore tedesco Ulrich Dopatka dell'Ancient Astronaut Society
(un'organizzazione che si occupa di misteri dell'archeologia in chiave ufologica)
che ha dichiarato: "Anche ammettendo che i moai siano stati scolpiti con
asce primitive, il che sembra dubbio, come fecero i nativi a trasportarli sul
terreno tutto pendii e avvallamenti dell'isola, dove la vegetazione era forse più
rigogliosa in passato, ma certo non di grossi alberi d'alto fusto? Altro fatto
strabiliante, poi, e' che i moai, rifiniti e non solo abbozzati presso le cave,
non soffrirono il benchè minimo danno durante il trasporto. Per trasportarne
così tanti ci sarebbero voluti molti uomini robusti, ma l'isola non fu mai
densamente popolata..."
Una risposta a questo mistero sarebbe stata data dall'esploratore norvegese Thor
Heyerdahl, che, filmato dalle cineprese, ha materialmente dimostrato come sia
possibile sollevare un moai, il cui peso oscilla fra le tredici e le cento
tonnellate, e trascinarlo a valle semplicemente servendosi di una ventina di
uomini. Facendolo scivolare, tirandolo con delle corde ora a destra ora a
sinistra, facendogli percorrere in piedi un percorso a zig zag. "L'idea mi
era venuta - ha dichiarato lo studioso - ascoltando una nenia locale, la stessa
che secoli or sono dava il ritmo agli operai che trascinavano i moai. Guardando
poi la base delle statue, che e' smussata e levigata dall'attrito del terreno
durante il trasporto, ho avuto la conferma alle mie teorie". Niente
extraterrestri, dunque, ma semplice forza di braccia. La teoria di Heyerdahl e'
stata in parte smentita ed in parte confermata nel 1982, dall'equipe
dell'archeologa Joan Vanteelbourg.
Quest'ultima,con l'ausilio di un computer, ha potuto stabilire che per
percorrere i 15 chilometri di percorso dal vulcano a valle erano sufficienti 70
operai e quattro giorni e mezzo di lavoro. "Rimasi stupita dai risultati
del computer. In così poco tempo era possibile spostare un moai. Inoltre
bastava stenderlo supino su due travi di legno, fatte rotolare su alcuni rulli
da traino. Pochissimo materiale e fatica contenuta ..." Ma se esistono
diverse spiegazioni plausibili sulla tecnica di costruzione dei giganti di
pietra, resta da domandarsi chi o cosa stiano osservando da millenni i muti
occhi bianchi dei moai. Attendono forse il ritorno degli uomini dalla pelle
bianca venuti dalle stelle?
Questo e' almeno quanto suggeriscono Ulrich Dopatka e i suoi epigoni, per i
quali la risposta sta nelle profondità celesti. "Il dio Make Make viene
ricordato in costante rapporto con misteriosi esseri alati. Bassorilievi e
statue di legno e di pietra raffigurano straordinari uomini-uccello,
uomini-lucertola e uomini-pesce...Nella letteratura specializzata l'Isola di
Pasqua viene indicata come isola degli uomini- uccello; l'appellativo e' del
tutto giustificato. Potrebbe darsi che le numerose leggende relative a divinità
volanti tramandino una remota memoria di extraterrestri dall'aspetto
parzialmente umano.Su un masso del vulcano Rano Kao e' scolpita una faccia
totalmente estranea ai luoghi, con una sorta di occhiali, una lunga barbetta,
lunghe escrescenze ai lati degli occhi e un paio di corna ramificate, che gli
indigeni chiamavano l'uomo-insetto. Da notare che sull'isola non sono mai
esistiti animali con le corna..."
Lo scrittore tedesco Horst Haas si sarebbe spinto ben più oltre, giudicando che
un' enigmatica incisione su una pietra che pare raffigurare un pesce palla altro
non sia che lo schema di uno statoreattore, la sezione trasversale di un razzo a
combustione! Sempre Dopatka conclude: "Non potrebbe trattarsi che l'Isola
di Pasqua fosse stata una base degli d,i-astronauti extraterrestri? Non
conveniva ai loro progetti che la popolazione li venerasse come divini? Furono
essi a fornire ai nativi strumenti da lavoro atti a scolpire con relativa
facilità le statue gigantesche? Sfruttarono l'assenza di gravità per
trasportare le statue dalla cava fino alla costa?"
Un altro autore, il francese Denis Saurat e' invece convinto che i pasquani
appartenessero ad una razza perduta, quella degli uomini-insetto, e che gli
stessi moai siano esseri viventi pietrificati. Al di là di queste fantasiose
speculazioni, i moai restano un mistero appassionante che mette in disaccordo
anche i più equilibrati studiosi.
Tutti però concordi nell'escludere qualsiasi spiegazione extraterrestre o
fantascientifica. Giuseppe Orefici, archeologo bresciano, sostiene di non avere
trovato nulla di misterioso nelle costruzioni Rapa Nui, come pure l'esploratore
Mario Majrani, che ha dichiarato: "Certo, sarebbe bello pensare ad un
intervento degli extraterrestri. Sarebbe una scoperta sconvolgente. Ma in realtà
non c'è nessun mistero di questo tipo, c'e' solo una delle più curiose
manifestazioni artistiche di una cultura lontana".
L'ipotesi più credibile e' che i moai fossero i monumenti voluti dalla casta
aristocratica delle orecchie lunghe, così detta per le orecchie forate ed
allungate. Casta che avrebbe sfruttato come schiavi i paria orecchie corte.
Questi ultimi si sarebbero infine ribellati alla tirannia degli aristocratici e,
dopo una sanguinosissima lotta, avrebbero annientato le orecchie lunghe ed
abbattuto i monumenti che li rappresentavano. Come spesso accadeva nell'antichità.
Per inciso, i moai altro non sarebbero che monoliti sacri, dedicati agli ahu ma
anche ai defunti. "Nessun mistero - commenterà il giornalista scientifico
Viviano Domenici - Le statue pasquane si ritrovano in tutto l'arcipelago
polinesiano, anche se con dimensioni più ridotte. Le speculazioni di Von
Daeniken sono solo fantascienza."
Quanto agli ahu, i raggruppamenti di più moai, servirebbero volta per volta da
monumento per gli dei, da colonne portanti del palazzo reale e da lapidi
funerarie. E questo e' confermato dalla grande importanza che gli isolani
attribuivano alla religione, che ha la sua massima espressione nella festa
annuale dell'uomo-uccello, intimamente legata al culto del dio Make-Make. Ogni
anno i giovani più vigorosi si gettavano tra i flutti dalle aguzze scogliere di
Orongo per raggiungere a nuoto l'isolotto di Motunui. Ove era nascosto un uovo,
che idealmente assumeva un significato sacro, quale primo uovo di Manutara.
Quindi, sempre a nuoto, portando il sacro uovo in mano, dovevano ritornare
indietro e consegnare l'ambito trofeo al capo del villaggio. Si trattava di una
prova tutt'altro che semplice, che spesso terminava con la morte di uno o più
partecipanti. Ma al vincitore spettava nientemeno che il favore degli d,i. Ed un
grandissimo potere politico.
Sempre Peter Kolosimo, al riguardo, ha scritto: "Impossessarsi dell'uovo
cosmico significava divenire uomo-uccello, simile agli dei discesi, conquistare
l'illusione di essere, per un anno, vicino a quelle creature il cui ricordo e'
ancora fissato su documenti ispirati a tradizioni senza età".
L'ISOLA DI PASQUA - LE FOTO
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